domenica 26 agosto 2007

Uniti assieme non possiamo fallire

400 condannati a morte da quando è stata ripristinata la pena capitale negli USA. Un massacro costante, disumano. Anni di battaglie che sembrano essere inutili. Il Corriere della Sera di venerdì 24 agosto riporta i dati sconvolgenti sul numero di esecuzioni e sulle tecniche adottate per attuarle: impiccagioni, sedie elettriche e iniezioni letali. Pensate che in Texas possono essere condannati a morte anche coloro che sono stati complici di un omicidio, pur non avendolo, di fatto, commesso direttamente. E' quello che succederà nei prossimi giorni a un ragazzo 27enne, reo di non avere bloccato un suo complice che nel 1996, durante una rapina, uccise una persona.La pena capitale, oltre ad essere un atto barbaro ed inefficace( le rapine, gli omicidi e gli stupri non si sono certamente fermati), è anche un atto di violenza nei confronti della libertà dei cittadini. Con quale diritto uno stato qualunque, si può permettere di decidere se togliere o meno la vita a una persona? Dov'è il sentimento del perdono?. La pena deve avere sempre una funzione rieducativa. Se lo stato uccide una persona lede questo principio fondamentale. Non solo gli Usa, ma anche Cina, Iran e moltissimi altri paesi del mondo hanno da imparare e da maturare su questo tema.La civiltà europea, deve essere modello per gli altri stati del globo terrestre. Questo non significa negare che l'europa sia stata immune, nel passato, da grandi massacri e tragedie. Abbiamo vissuto i drammi dell'inquisizione, della rivoluzione francese con la sua epoca del terrore, due guerre mondiali, lo sterminio di un intero popolo e i morti delle dittature politiche. Forse, proprio perchè ne abbiamo viste i cotte e di crude, siamo maturati prima degli altri e abbiamo deciso di dire basta ad una animalesca mentalità basata sull' antica concezione " occhio per occhio, dente per dente".Continuare la battaglia per la cancellazione della pena di morte è un dovere morale, di tutti i cittadini del mondo.
Uniti assieme non possiamo fallire.
Enrico Reghini di Pontremoli
Il Corrire della Sera di domenica 26 Agosto 2007, pubblica in prima pagina un editoriale dell'economista Francesco Giavazzi sul tema del precariato. Problema gravoso, che colpisce migliaia di giovani e non, all'interno della nostra Italia.Sindacati e sinistra radicale chiedono al Governo Prodi di intervenire modificando o, addirittura, eliminando la legge Biagi e di ritornare al vecchio sitema che prevede assunzioni con contratti a periodo indeterminato.Giavazzi ha ragione nel sostenere che un ritorno al vecchio sistema sia ormai divenuto impossibile e anacronistico. Il tempo passa e sono cambiate le strutture del lavoro. In quasi tutta l'Europa il precariato è diventato pane quotidiano. Il precariato porta con sè sia pregi che difetti. Pregi perchè aumenta l'occupazione, si riducono i disoccupati e l'economia gira. Difetti nel senso, che la facilità di mantenere un posto fisso in un'impresa per un lungo periodo è praticamente pari a zero.Questo aspetto, a mio avviso, non deve però spavetare i lavoratori: se ci si trova in un mercato del lavoro ben funzionante pochi resterebbero senza lavoro; ci sarebbero soltanto più spostamenti, si girerebbe di più , insomma ci si sposterebbe in più aziende. Cosa che accade negli Usa da decenni.Una persona ragionevole potrebbe opporsi a quanto detto fino ad ora sostenendo che il lavoratore rimarebbe continuamente in uno stato di incerttezza, soprattutto con il rischio per chi ha famiglia , di rimanere senza lavoro.Giusta osservazione. Per porre rimedio a questa situazione occorrono due soluzioni: un mercato del lavoro funzionante( flessibile, dinamico) e allo stesso tempo regolamentato a favore dei lavoratori.In danimarca ci sono riusciti: non più tutele al posto di lavoro ma al lavoratore, con forte attenzione per chi momentaneamente è disoccupato.

Enrico Reghini di Pontremoli